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Mappa interattiva delle esposizioni
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LA MOSTRA A PIACENZA


Vi Invitano
dal 4 al 9 Aprile
ore 9-13 15-17
alla mostra
L’Unita’ d’Italia
una storia di persone e di idee
presso il Liceo Artistico Bruno Cassinari
via Scalabrini 71 PIACENZA




26 marzo - 2 aprile la mostra al FAES

Dal 26 marzo - 2 aprile la mostra sarà esposta presso il
Liceo Scientifico ARGONNE in Via M. Gioia, 42 - Milano

17 marzo 3000 visitatori alla mostra

Dati del COMUNE di MILANO - URBAN CENTER

il 17 marzo 2011 hanno visitato la mostra più di 3000 persone






Mostra alla Parrocchia San Carlo





Fino a Domenica 13 la Mostra rimarrà esposta alla Parrocchia San Carlo
presso lo SPAZIO ROTONDA della BASILICA

DAL 6 AL 13 MARZO ore 9-12 - ore 16-18
presso CHIESA di SAN CARLO - CORSO VITTORIO EMANUELE
MM1 San Babila

Il risorgimento forza viva dell’unità nazionale di Gianni Borgo

Se c’è un contributo che il pensiero e la cultura cattolici hanno dato e possono ancora riproporre in occasione del 150° anniversario dell’unità nazionale, questo è un approfondimento e una riacquisizione consapevole della categoria di risorgimento. In tale senso l’iniziativa di una esposizione su “L’unità d’Italia una storia di idee e di persone.” risulta un primo passo per risvegliare l’attenzione sulle motivazioni non passeggere dell’essere comunità nazionale, che non si limitino cioè ad un resoconto del passato, con le inevitabili controversie storiche, ma evidenzino gli elementi di forza che puntellano un percorso diretto al futuro.
Osservava del Augusto Del Noce nel 1972 che la categoria di risorgimento eccede l’evento storico ed ha un significato più profondo di un fatto rilevante come il raggiungimento dell’indipendenza nazionale entro lo stato unitario. Per lo studioso tale categoria, proposta non a caso dal Gioberti in un senso «filosofico-politico», ha il significato del «ritorno ai principi», riscoperta di valori fondanti, il cui recupero e approfondimento non sarebbero surrogabili con alcuna iniziativa politica. Irriducibile alle categorie di rivoluzione e reazione, scriveva Del Noce, il risorgimento «indica che le nazioni possono risollevarsi soltanto per approfondimento della loro tradizione, e criticando l’ordine storico dal punto di vista di un ordine ideale. Se principio primo della “rivoluzione totale” è il “futuro”, principio ideale del risorgimento (inteso in questo senso) è “l’Eterno”». Se la rivoluzione si connota come rottura violenta di un ordine storico precedente, con il corollario della dissacrazione rispetto ad una tradizione; se, al contrario, la reazione si configura come irrigidimento della tradizione e dell’autorità a scapito della libertà del soggetto, l’idea di risorgimento – relazionata all’eterno e non al contingente – appare in ogni tempo la risorsa spirituale di una nazione. Le nazioni possono risorgere contro ogni possibile crisi storica perché in esse è disponibile una riserva di valori eterni, non in balia delle epoche, sui quali si regge l’edificio politico degli stati.
Se la conquista della libertà di un popolo entro confini sicuri e assetti istituzionali stabili è stato un grande traguardo storico, è altrettanto vero che nelle fibre dell’edificio statuale vanno rintracciate e ripensate le ragioni profonde che garantiscono continuità cronologica ad una comunità nazionale. Sono le ragioni che – nella necessaria impersonalità delle istituzioni – fanno intravvedere un’identità che unisce e un futuro che tutti accumuna.
L’incontro dell’idea risorgimentale con la più consapevole e progredita cultura italiana non è quindi casuale: padri del risorgimento sono a pieno titolo quei cattolici liberali, come Rosmini, Gioberti, Manzoni, D’azeglio, Balbo e molti altri, che, prima delle tecniche di nation building, si sono dati pensiero di saldare l’unità da raggiungere con le forze morali e spirituali per sostenerla e farla durare. Da qui nascono le diverse ipotesi, federaliste, confederaliste oppure unitarie seguendo il disegno del Regno di Sardegna: soluzioni tutte possibili, cui sottosta senza riserve il riconoscimento dell’anima religiosa del popolo italiano, e, quale sua concreta garanzia, la preoccupazione per la libertas ecclesiae. Il federalismo di Gioberti e Rosmini, lungi dall’essere un’ipotesi destinata agli scaffali, metteva al centro il problema dell’identità nazionale, in quanto riconosceva nella pluralità delle espressioni geografiche e locali il principio di libertà, che, nell’unificazione – «la più stretta possibile in una sua naturale varietà» (Rosmini) – si sarebbe saldata con l’indipendenza. E la presidenza della confederazione affidata al Papa esprimeva visibilmente il comune sentimento religioso e la vocazione unitaria di un popolo. Diversamente dai neoguelfi, Manzoni vedeva la garanzia dell’unità, per ragioni pratiche, nel Regno di Sardegna, ma anche in questo caso era sottinteso il riferimento alle radici spirituali del popolo italiano, come testimoniano le sue opere letterarie e storico-filosofiche.
Ripensare il risorgimento come categoria filosofico-politica consente di superare sterili contrapposizioni in merito al problema dell’unità nazionale, caratterizzata certo da notevoli carenze e reciproche rivendicazioni, recuperando invece le ragioni – i valori eterni – che possano sopravvivere ad ogni crisi essendo più forti di ogni divisione. Il pensiero e la cultura dei cattolici liberali (anch’essa categoria più spirituale che storica) ritornano di attualità proprio nel momento in cui la comunità nazionale italiana vive un punto di forte tensione nel fare i conti con la propria storia e nella difficoltà di riconoscere in essa la propria identità. Come scriveva Del Noce, né con la rimozione forzata di una storia, che comunque ci appartiene, per un’avventurosa fuga in avanti, né con la ripetizione di vecchie (o pseudo nuove) formule costituzional-patriottiche, astratte e lontane, può reggersi una comunità di destino. Nell’inattualità o nel fallimento di queste soluzioni, il recupero consapevole dei valori tradizionali, frutto della presenza millenaria del cristianesimo tra le genti italiane (Sturzo) e fattore di sviluppo morale e civile (Rosmini), emerge come possibilità per ravvivare un’eredità che ci è stata consegnata. Introdotto da questo pensiero prende senso ripercorrere le tappe storiche e interrogare gli eventi che hanno condotto alla realizzazione dello stato unitario, grazie ad una mostra che ha il merito sostanziale di evidenziare il contributo offerto dalle diverse articolazioni della «nazione cattolica» (Rumi) e togliendo dall’oscurità personalità poco note al dibattito storiografico. Confermando in ultima istanza il giudizio che entro il cattolicesimo italiano – prima dell’unità – era maturata una coscienza risorgimentale che avrebbe potuto favorire un processo d’unificazione più equilibrato e meno costoso in termini di lacerazioni politiche, geografiche e religiose. Emerge ora, dopo l’affanno di 150 anni, l’importanza di quella stagione e di quella sintesi spirituale e politica per dare sostegno e infondere speranza ad uno sforzo individuale e collettivo che ci attende.

PROFONDITA' e RESPIRO della NOSTRA STORIA di Giovanni Tassani

Nazione, Chiesa, storia, istituzioni, libertà e socialità: realtà e concetti complessi che vanno affrontati con un buon esercizio di applicazione, memoria, metodo e riflessione. Un denso programma di lavoro che, cogliendo l’occasione del 150° dell’unità d’Italia, si è dato il gruppo promotore di questa mostra e di questo catalogo. Giovani professionisti, per lo più di formazione scientifica e tecnica, e non specialisti in materie umanistiche e letterarie, che non si sono affatto lasciati intimorire dalla complessità, e spinosità, dei temi che hanno scelto di affrontare in gruppo, dividendosi poi i compiti e omogeneizzando infine i risultati delle loro ricerche. Tutto questo al solo scopo di saperne di più, andando in profondità, e di contagiare positivamente altri col frutto del loro lavoro di diversi mesi: una mostra intrigante, di ottima divulgazione. Un volontariato culturale encomiabile: un’opera di gruppo che mostra come valori come dedizione, gratuità, ed anche sacrificio, quantomeno nel senso di scelta alternativa a forme facili di uso del proprio tempo libero, siano ancora possibili anche, e forse soprattutto, tra i giovani. I quali devono sapersi ricreare le occasioni, oggi, per stare insieme costruttivamente. Debbono formarsi loro, per scelta, delle comunità che non esistono più in forma naturale, spontanea, tradizionale. La “storia” in particolare, e con essa la politica che ne è stata a lungo il principale vettore, è una dimensione che pare non abbia più consistenza, quasi inafferrabile, in un’età di “crisi”, di valori come di sviluppo. Questo è almeno quanto siamo tutti abituati a dire e a scrivere, a proposito di questi tempi e di questa difficile condizione politica e giovanile, di “transizione” non si sa bene verso dove. Qui ci troviamo invece, fortunatamente, di fronte ad una volontà di reagire, di nuotare controcorrente. E di capire, immergendosi nel gran mare della storia italiana. E di quella della Chiesa, coinvolta nella dialettica, e nella bufera, risorgimentale e postunitaria. Ma senza formule predefinite, ossia senza comode ciambelle di salvataggio ideologiche o apologetiche, neutralizzanti a priori lo sforzo di comprendere invece meglio e in profondità.

Per la Chiesa, così come per la nazione italiana in necessaria e incontenibile formazione, nella prima metà dell’Ottocento non erano già pronte formule prestabilite per risolvere questione romana e questione nazionale: si trattava di sperimentare e misurare il passo in una prospettiva che facesse i conti con un’identità popolare e civile permeata, nel nostro paese, dal cristianesimo in una condizione unica, cioè di coesistenza con il papato, centro istituzionale della cattolicità, nelle sue forme storiche tradizionali, allora anche statuali. La mostra e questo catalogo pongono in rilievo il lungo confronto, e spesso scontro, da parte dei cattolici – gerarchia, clero, ordini religiosi, laicato, singoli pensatori e politici - in Italia, con quella parte di classe dirigente ed opinione pubblica permeata di liberalismo, in varia misura accettante e non escludente la presenza del papato e della religione cattolica nel futuro della nazione.

L’Ottocento, ed in forme diverse e anche più drammatiche, il Novecento, ha vissuto una lotta serrata tra religione, neoreligione ed irreligione. Se Mazzini, Garibaldi, Pisacane, il filone democratico radicale, la massoneria, l’anarchismo ed il socialismo delle origini sono relativamente poco presenti nella mostra ciò non si deve a misconsiderazione della loro importanza nella storia dell’Ottocento italiano, pre e postunitario, ma al fatto che tali filoni di pensiero, in modi e misure diverse, si presentarono sulla scena italiana in funzione direttamente antagonistica – in pratica come una minaccia - rispetto al cattolicesimo, considerato da essi realtà comunque da superare nella storia del progresso umano. Neoreligione, per mazzinianesimo e massoneria, o irreligione, per anarchismo e socialismo, si trattava in entrambi i casi di un principio ‘divino’ immanentisticamente trascinato nella storia a servizio dei sogni, o delle illusioni, degli uomini. Non altrettanto si può dire, sul piano dei principi, per il liberalismo, nelle sue varie gradazioni, ed in particolare per quello che guardava ai paesi anglosassoni più che alla lezione rivoluzionaria francese. Il liberalismo come metodo, come studio dei limiti e delle regole, come oscillazione pragmatica sui principi, non come grimaldello o chiave risolutiva del problema religioso: con esso, nonostante sfide e duri colpi assestati alla presenza religiosa, fu storicamente possibile mediare, sia pur non nell’immediato.

Differenza sostanziale tra liberalismo e radicalismo: si pensi alla terza repubblica francese ed al suo influsso su certo giacobinismo italiano. Di fronte a tale rischio la linea maestra di Cavour, rigida nella finalità di costruire la nazione al livello delle altre grandi nazioni d’Europa, pur nel suo separatismo, manterrà aperta la possibilità conciliatorista per il futuro: l’incontro tra due realtà conviventi ma autonome. Questo pare il senso della formula cavouriana: “Libera Chiesa in libero Stato”. Senonché anche il liberalismo, specie dopo Cavour, si presterà a cadute e confusioni teoriche, nel segno della mitizzazione della nazione: da Gioberti, in nuce, a Crispi, al nazionalismo e poi al fascismo alla Gentile, religione e sacro rischieranno più volte un coinvolgimento strumentale nel nation building, a danno del genuino sentimento religioso. Ed il liberal-liberismo rappresenterà spesso la prevalenza dell’economico sul politico, degli interessi a volte famelici di censo sugli ideali pubblici. Occorre tener presenti tutti questi rischi nel giudicare l’opera dei pontefici succedutisi, da Pio IX a Benedetto XV, e affrontanti i difficili e drammatici tornanti di vari decenni di storia nazionale, europea e mondiale.

Merito della mostra è il far vedere la reale pluriformità presente nei giudizi dei cattolici italiani, uniti nelle intenzioni, ma spesso divisi e tra loro confliggenti: sui fatti storico-politici in via di compimento, sul futuro della nazione, sui modi e le categorie culturali necessari a rilanciare anche in pubblico gl’ideali cristiani. Basti pensare alle differenze tra Gioberti e Taparelli D’Azeglio, o tra la scuola di Rosmini e i neotomisti forti dell’appoggio di Leone XIII. Più in generale tra transigenti e intransigenti. Il che ci mostra come vi siano nella storia “parti di verità” che non sempre, comunque e facilmente si congiungono in sintesi. La storia è per definizione luogo di conflitti e di processi di trasformazione della realtà con esiti non facilmente prevedibili e non omogenei alle finalità date in partenza.

Se c’è un’ottica benevola in questa ricerca, e nella mostra frutto di questo lavoro, essa riguarda il magistero papale, pur nei suoi limiti di linguaggio e comunicazione, oltre che autoritativi. Tra fine Settecento e Ottocento, con una Chiesa spesso localmente asservita ai poteri politici anche quando godeva di qualche privilegio, anche il papato, reso incapace di governo universale, aveva indubbiamente perso di autorevolezza e considerazione tra le potenze mondane. L’Ottocento vede proseguire le minacce verso questa istituzione, ma proprio nel lungo confronto-scontro con la realtà nazionale italiana in formazione sono poste le basi, con la sua strenua difesa, anche con armi improprie e inadeguate, della sua risalita sulla scena mondiale. L’istituto ecclesiastico, col papato come suo centro, monarchico e non liberale, svolge paradossalmente una funzione liberale nella storia. Rosmini aveva ben inteso questo quando diceva che la Chiesa “costituzionalizza” gli Stati, col criticare le loro pretese monopolistiche in campo etico e politico. La presa di respiro più ampia inaugurata da Leone XIII, in cui la nuova alleanza Chiesa-popolo – le comunità locali, il popolo minuto, le famiglie, i lavoratori - è elemento centrale, conduce la Chiesa a “impersonare” la società civile, con le sue ragioni originarie, rispetto agli Stati, luoghi del potere. Ed in questa lenta ma sicura presa di più ampio respiro, in questa storica maturazione, si verifica l’adesione dei cattolici alle moderne forme di partecipazione: le amministrazioni locali, le leghe, le cooperative, i sindacati, i partiti politici. E’ un processo di allargamento verso il popolo dei diritti dapprima riservati ai proprietari: un passaggio, sempre problematico, mai compiutamente raggiunto, dallo Stato censitario verso una democrazia più vera, di uomini “liberi e forti”, come dirà Luigi Sturzo.

CHIESA E RISORGIMENTO ITALIANO di Alberto Torresani

Nel corso di ventidue anni, tra il 1848 e il 1870, si realizzò la riunificazione politica dell’Italia. Fu scelta la via delle armi. La Prima guerra del Risorgimento avvenne nel 1848. Il regno di Sardegna tentò di piegare l’Austria in difficoltà per moti interni, per strapparle il Lombardo-Veneto. La Seconda guerra fu combattuta nel 1859. Il Regno sabaudo ricevette l’aiuto determinante dell’esercito francese condotto da Napoleone III. La guerra fruttò la sola Lombardia. Il protagonista fu il Cavour che nel corso del decennio precedente, mediante prestiti internazionali, aveva ammodernato il Piemonte. Sul piano interno, il Cavour era riuscito a subordinare alle sue decisioni le energie rivoluzionarie. Si cominciò allora a ricorrere a ossimori come “rivoluzione conservatrice”, ossia agire in fretta per impedire la rivoluzione di visionari come il Mazzini che non sapevano quanto fosse breve il passaggio da una rivoluzione politico-costituzionale a un ribaltamento economico-sociale. Per qualche mese il Cavour si dimise ritenendo d’aver fallito l’obiettivo di un regno esteso tra Torino e Venezia, ma nel frattempo una serie di plebisciti aveva fruttato i ducati padani, la Romagna e la Toscana.

Nel 1860 avvenne la conquista del sud d’Italia. La condanna dei Borbone di Napoli fu decretata da Gran Bretagna e Francia e attuata da Garibaldi, che ricevette dal governo inglese tre milioni di franchi oro. Generali e ammiragli borbonici furono unanimi nel convenire che il loro governo era spacciato, che l’ingresso da eroi nel futuro esercito e flotta italiani era un affare vantaggioso. L’esercito piemontese era entrato in campo per impedire a Garibaldi possibili colpi di mano, occupando di passaggio Marche e Umbria, con alcuni episodi orribili come il bombardamento di Ancona da parte del generale Cialdini, dopo che la città si era arresa all’ammiraglio Persano che l’aveva bombardata dal mare.

Nel 1866 ci fu la Terza guerra, la meno gloriosa. Fu stipulata un’alleanza di tre mesi tra regno d’Italia e Regno di Prussia per attaccare l’Austria su due fronti. Su quello italiano le cose andarono male con la sconfitta di Custoza per terra e di Lissa per mare. Il Veneto fu acquisito a causa della rovinosa sconfitta austriaca a Sadowa.

L’occupazione di Roma avvenne il 20 settembre 1870, dopo che la Francia aveva subito la disfatta di Sédan. L’occupazione di Roma apparve un’occasione irripetibile: ora o mai più. La breccia di Porta Pia confermava la vocazione militare dei Savoia. Tutti questi avvenimenti avvennero sotto un unico papa, Pio IX, che la tradizione patriottica ha condannato, con giudizi che oscillano tra quello di Garibaldi “un metro cubo di letame” e quello dei liberali più benevoli che salvano la bontà dell’uomo, limitandosi a definirlo “politicamente sprovveduto”. Eppure, la più notevole proposta per affrontare il problema dell’unificazione italiana, senza ricorrere alle guerre, fu avanzata proprio da Pio IX. Nel 1847, il più intelligente tra i suoi diplomatici, mons. Giovanni Corboli-Bussi, fu inviato in missione a Firenze, Modena, Parma e Torino. Proponeva un’unione doganale, a somiglianza di quanto avvenuto in Germania con lo Zollverein, preludio dell’unificazione tedesca. I governi di Firenze, Modena e Parma accettarono, ma non quello di Torino, dove prevalsero i venti di guerra. L’Italia, come la Germania, aveva una struttura tendenzialmente federale, ma i Savoia scelsero il modello fortemente accentrato, coi prefetti che dovevano far prevalere ovunque la volontà del governo centrale. A causa dell’accentramento e delle cure riservate all’esercito e alla marina maturarono in seguito progetti coloniali velleitari, che favorirono patti militari come la Triplice alleanza del 1882, contraddittori con la politica estera fin allora seguita.

L’allocuzione di Pio IX ai cardinali del 29 aprile 1848 aveva il compito di spiegare perché il papa non poteva accogliere l’ipotesi dell’unificazione italiana attraverso le guerre. Il progetto di nominare Rosmini cardinale e Segretario di Stato poteva attuarsi se non ci fosse stato l’assassinio di Pellegrino Rossi. La famosa politica del Cavour condotta su un doppio binario, trattative da una parte, colpi di mano dall’altra, non era la più adatta nei confronti della Chiesa cattolica. Perciò Pio IX scelse la via della netta contrapposizione che chiariva le posizioni reciproche. Tuttavia, le funzioni assolte dalla Chiesa non possono svolgersi in un clima di ostilità. Il papa Pio IX comprendeva questo aspetto del problema e perciò si affidò a don Giovanni Bosco che sapeva compaginare un reale patriottismo con un altrettanto grande amore per la Chiesa. Poiché molte diocesi italiane erano prive di vescovo e lo Stato italiano, nonostante il troppo ripetuto “libera Chiesa in libero Stato”, aveva voluto ereditare dagli Stati preunitari il placet e l’exequatur, si faceva vanto di impedire l’insediamento di vescovi supposti ostili ai fatti del Risorgimento. Perciò Pio IX pregava don Bosco di recarsi nelle diocesi prive di vescovo per individuare possibili candidati a quella carica. Ottenuto l’assenso del papa, don Bosco si recava dal ministro agli Interni con l’elenco dei sacerdoti prescelti. È difficile condividere il giudizio di Scalfari che con l’unità d’Italia andarono al potere “i capaci e gli onesti”: anche dopo l’unità ci furono molti incapaci e disonesti, ma l’unità d’Italia fu comunque un bene.

I ventidue anni del Risorgimento italiano, nella storia della Chiesa, sono solamente una leggera increspatura. Il papa Pio IX è ricordato per il dogma dell’Immacolata, per il Sillabo, per il Concilio Vaticano I e, dall’anno 2000, per la sua beatificazione insieme col papa Giovanni XXIII. Infatti, era personalmente un santo, anche se non lo furono molti dei suoi collaboratori. Egli arrivò a dire che se avesse avuto un Cavour al suo servizio, non si sarebbe trovato in mezzo ai pasticci. La fine del potere temporale della Chiesa poteva essere un fatto compiuto fin dall’epoca napoleonica. Fu la diplomazia francese che promosse al congresso di Vienna del 1815 la ricostituzione dello Stato della Chiesa, per non rendere completa l’egemonia austriaca in Italia, un altro residuo dell’antico regime che aveva i giorni contati nell’epoca del risveglio delle nazionalità.

Priva di reale fondamento l’accusa successiva rivolta ai cattolici di non aver favorito la crescita del Regno d’Italia. Da una parte si doveva mantenere vivo il contenzioso tra Chiesa e Stato per giungere a una composizione accettabile da entrambi, avvenuta nel 1929. Dall’altra i cattolici, pur nell’astensione dal Parlamento, si dedicarono alla difesa sociale del ceto più maltrattato, i contadini, in preda alla crisi dei prezzi agricoli. Il papato di Leone XIII rappresenta una pagina gloriosa nella storia della Chiesa, specialmente con l’enciclica Rerum Novarum che ancora dopo un secolo viene definita profetica.

Conferenza I cattolici e l'Unità d'Italia





SABATO 5 MARZO ORE 15.30
presso LA SALA VERDE Parrocchia San Carlo INGRESSO Corso MATTEOTTI 14 MM1 San Babila
INTERVERRANNO gli storici

Torresani - Pio IX, Leone XIII ed il ruolo della Chiesa in Italia nel Risorgimento - Tassani - Il ruolo dei cattolici in politica prima e dopo l'unità d'italia fino alla costituzione del partito popolare - Borgo - I cattolici liberali e l'idea di Risorgimento - Luca e Paolo Tanduo curatori della mostra