Nazione, Chiesa, storia, istituzioni, libertà e socialità: realtà e concetti complessi che vanno affrontati con un buon esercizio di applicazione, memoria, metodo e riflessione. Un denso programma di lavoro che, cogliendo l’occasione del 150° dell’unità d’Italia, si è dato il gruppo promotore di questa mostra e di questo catalogo. Giovani professionisti, per lo più di formazione scientifica e tecnica, e non specialisti in materie umanistiche e letterarie, che non si sono affatto lasciati intimorire dalla complessità, e spinosità, dei temi che hanno scelto di affrontare in gruppo, dividendosi poi i compiti e omogeneizzando infine i risultati delle loro ricerche. Tutto questo al solo scopo di saperne di più, andando in profondità, e di contagiare positivamente altri col frutto del loro lavoro di diversi mesi: una mostra intrigante, di ottima divulgazione. Un volontariato culturale encomiabile: un’opera di gruppo che mostra come valori come dedizione, gratuità, ed anche sacrificio, quantomeno nel senso di scelta alternativa a forme facili di uso del proprio tempo libero, siano ancora possibili anche, e forse soprattutto, tra i giovani. I quali devono sapersi ricreare le occasioni, oggi, per stare insieme costruttivamente. Debbono formarsi loro, per scelta, delle comunità che non esistono più in forma naturale, spontanea, tradizionale. La “storia” in particolare, e con essa la politica che ne è stata a lungo il principale vettore, è una dimensione che pare non abbia più consistenza, quasi inafferrabile, in un’età di “crisi”, di valori come di sviluppo. Questo è almeno quanto siamo tutti abituati a dire e a scrivere, a proposito di questi tempi e di questa difficile condizione politica e giovanile, di “transizione” non si sa bene verso dove. Qui ci troviamo invece, fortunatamente, di fronte ad una volontà di reagire, di nuotare controcorrente. E di capire, immergendosi nel gran mare della storia italiana. E di quella della Chiesa, coinvolta nella dialettica, e nella bufera, risorgimentale e postunitaria. Ma senza formule predefinite, ossia senza comode ciambelle di salvataggio ideologiche o apologetiche, neutralizzanti a priori lo sforzo di comprendere invece meglio e in profondità.
Per la Chiesa, così come per la nazione italiana in necessaria e incontenibile formazione, nella prima metà dell’Ottocento non erano già pronte formule prestabilite per risolvere questione romana e questione nazionale: si trattava di sperimentare e misurare il passo in una prospettiva che facesse i conti con un’identità popolare e civile permeata, nel nostro paese, dal cristianesimo in una condizione unica, cioè di coesistenza con il papato, centro istituzionale della cattolicità, nelle sue forme storiche tradizionali, allora anche statuali. La mostra e questo catalogo pongono in rilievo il lungo confronto, e spesso scontro, da parte dei cattolici – gerarchia, clero, ordini religiosi, laicato, singoli pensatori e politici - in Italia, con quella parte di classe dirigente ed opinione pubblica permeata di liberalismo, in varia misura accettante e non escludente la presenza del papato e della religione cattolica nel futuro della nazione.
L’Ottocento, ed in forme diverse e anche più drammatiche, il Novecento, ha vissuto una lotta serrata tra religione, neoreligione ed irreligione. Se Mazzini, Garibaldi, Pisacane, il filone democratico radicale, la massoneria, l’anarchismo ed il socialismo delle origini sono relativamente poco presenti nella mostra ciò non si deve a misconsiderazione della loro importanza nella storia dell’Ottocento italiano, pre e postunitario, ma al fatto che tali filoni di pensiero, in modi e misure diverse, si presentarono sulla scena italiana in funzione direttamente antagonistica – in pratica come una minaccia - rispetto al cattolicesimo, considerato da essi realtà comunque da superare nella storia del progresso umano. Neoreligione, per mazzinianesimo e massoneria, o irreligione, per anarchismo e socialismo, si trattava in entrambi i casi di un principio ‘divino’ immanentisticamente trascinato nella storia a servizio dei sogni, o delle illusioni, degli uomini. Non altrettanto si può dire, sul piano dei principi, per il liberalismo, nelle sue varie gradazioni, ed in particolare per quello che guardava ai paesi anglosassoni più che alla lezione rivoluzionaria francese. Il liberalismo come metodo, come studio dei limiti e delle regole, come oscillazione pragmatica sui principi, non come grimaldello o chiave risolutiva del problema religioso: con esso, nonostante sfide e duri colpi assestati alla presenza religiosa, fu storicamente possibile mediare, sia pur non nell’immediato.
Differenza sostanziale tra liberalismo e radicalismo: si pensi alla terza repubblica francese ed al suo influsso su certo giacobinismo italiano. Di fronte a tale rischio la linea maestra di Cavour, rigida nella finalità di costruire la nazione al livello delle altre grandi nazioni d’Europa, pur nel suo separatismo, manterrà aperta la possibilità conciliatorista per il futuro: l’incontro tra due realtà conviventi ma autonome. Questo pare il senso della formula cavouriana: “Libera Chiesa in libero Stato”. Senonché anche il liberalismo, specie dopo Cavour, si presterà a cadute e confusioni teoriche, nel segno della mitizzazione della nazione: da Gioberti, in nuce, a Crispi, al nazionalismo e poi al fascismo alla Gentile, religione e sacro rischieranno più volte un coinvolgimento strumentale nel nation building, a danno del genuino sentimento religioso. Ed il liberal-liberismo rappresenterà spesso la prevalenza dell’economico sul politico, degli interessi a volte famelici di censo sugli ideali pubblici. Occorre tener presenti tutti questi rischi nel giudicare l’opera dei pontefici succedutisi, da Pio IX a Benedetto XV, e affrontanti i difficili e drammatici tornanti di vari decenni di storia nazionale, europea e mondiale.
Merito della mostra è il far vedere la reale pluriformità presente nei giudizi dei cattolici italiani, uniti nelle intenzioni, ma spesso divisi e tra loro confliggenti: sui fatti storico-politici in via di compimento, sul futuro della nazione, sui modi e le categorie culturali necessari a rilanciare anche in pubblico gl’ideali cristiani. Basti pensare alle differenze tra Gioberti e Taparelli D’Azeglio, o tra la scuola di Rosmini e i neotomisti forti dell’appoggio di Leone XIII. Più in generale tra transigenti e intransigenti. Il che ci mostra come vi siano nella storia “parti di verità” che non sempre, comunque e facilmente si congiungono in sintesi. La storia è per definizione luogo di conflitti e di processi di trasformazione della realtà con esiti non facilmente prevedibili e non omogenei alle finalità date in partenza.
Se c’è un’ottica benevola in questa ricerca, e nella mostra frutto di questo lavoro, essa riguarda il magistero papale, pur nei suoi limiti di linguaggio e comunicazione, oltre che autoritativi. Tra fine Settecento e Ottocento, con una Chiesa spesso localmente asservita ai poteri politici anche quando godeva di qualche privilegio, anche il papato, reso incapace di governo universale, aveva indubbiamente perso di autorevolezza e considerazione tra le potenze mondane. L’Ottocento vede proseguire le minacce verso questa istituzione, ma proprio nel lungo confronto-scontro con la realtà nazionale italiana in formazione sono poste le basi, con la sua strenua difesa, anche con armi improprie e inadeguate, della sua risalita sulla scena mondiale. L’istituto ecclesiastico, col papato come suo centro, monarchico e non liberale, svolge paradossalmente una funzione liberale nella storia. Rosmini aveva ben inteso questo quando diceva che la Chiesa “costituzionalizza” gli Stati, col criticare le loro pretese monopolistiche in campo etico e politico. La presa di respiro più ampia inaugurata da Leone XIII, in cui la nuova alleanza Chiesa-popolo – le comunità locali, il popolo minuto, le famiglie, i lavoratori - è elemento centrale, conduce la Chiesa a “impersonare” la società civile, con le sue ragioni originarie, rispetto agli Stati, luoghi del potere. Ed in questa lenta ma sicura presa di più ampio respiro, in questa storica maturazione, si verifica l’adesione dei cattolici alle moderne forme di partecipazione: le amministrazioni locali, le leghe, le cooperative, i sindacati, i partiti politici. E’ un processo di allargamento verso il popolo dei diritti dapprima riservati ai proprietari: un passaggio, sempre problematico, mai compiutamente raggiunto, dallo Stato censitario verso una democrazia più vera, di uomini “liberi e forti”, come dirà Luigi Sturzo.
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