Nel corso di ventidue anni, tra il 1848 e il 1870, si realizzò la riunificazione politica dell’Italia. Fu scelta la via delle armi. La Prima guerra del Risorgimento avvenne nel 1848. Il regno di Sardegna tentò di piegare l’Austria in difficoltà per moti interni, per strapparle il Lombardo-Veneto. La Seconda guerra fu combattuta nel 1859. Il Regno sabaudo ricevette l’aiuto determinante dell’esercito francese condotto da Napoleone III. La guerra fruttò la sola Lombardia. Il protagonista fu il Cavour che nel corso del decennio precedente, mediante prestiti internazionali, aveva ammodernato il Piemonte. Sul piano interno, il Cavour era riuscito a subordinare alle sue decisioni le energie rivoluzionarie. Si cominciò allora a ricorrere a ossimori come “rivoluzione conservatrice”, ossia agire in fretta per impedire la rivoluzione di visionari come il Mazzini che non sapevano quanto fosse breve il passaggio da una rivoluzione politico-costituzionale a un ribaltamento economico-sociale. Per qualche mese il Cavour si dimise ritenendo d’aver fallito l’obiettivo di un regno esteso tra Torino e Venezia, ma nel frattempo una serie di plebisciti aveva fruttato i ducati padani, la Romagna e la Toscana.
Nel 1860 avvenne la conquista del sud d’Italia. La condanna dei Borbone di Napoli fu decretata da Gran Bretagna e Francia e attuata da Garibaldi, che ricevette dal governo inglese tre milioni di franchi oro. Generali e ammiragli borbonici furono unanimi nel convenire che il loro governo era spacciato, che l’ingresso da eroi nel futuro esercito e flotta italiani era un affare vantaggioso. L’esercito piemontese era entrato in campo per impedire a Garibaldi possibili colpi di mano, occupando di passaggio Marche e Umbria, con alcuni episodi orribili come il bombardamento di Ancona da parte del generale Cialdini, dopo che la città si era arresa all’ammiraglio Persano che l’aveva bombardata dal mare.
Nel 1866 ci fu la Terza guerra, la meno gloriosa. Fu stipulata un’alleanza di tre mesi tra regno d’Italia e Regno di Prussia per attaccare l’Austria su due fronti. Su quello italiano le cose andarono male con la sconfitta di Custoza per terra e di Lissa per mare. Il Veneto fu acquisito a causa della rovinosa sconfitta austriaca a Sadowa.
L’occupazione di Roma avvenne il 20 settembre 1870, dopo che la Francia aveva subito la disfatta di Sédan. L’occupazione di Roma apparve un’occasione irripetibile: ora o mai più. La breccia di Porta Pia confermava la vocazione militare dei Savoia. Tutti questi avvenimenti avvennero sotto un unico papa, Pio IX, che la tradizione patriottica ha condannato, con giudizi che oscillano tra quello di Garibaldi “un metro cubo di letame” e quello dei liberali più benevoli che salvano la bontà dell’uomo, limitandosi a definirlo “politicamente sprovveduto”. Eppure, la più notevole proposta per affrontare il problema dell’unificazione italiana, senza ricorrere alle guerre, fu avanzata proprio da Pio IX. Nel 1847, il più intelligente tra i suoi diplomatici, mons. Giovanni Corboli-Bussi, fu inviato in missione a Firenze, Modena, Parma e Torino. Proponeva un’unione doganale, a somiglianza di quanto avvenuto in Germania con lo Zollverein, preludio dell’unificazione tedesca. I governi di Firenze, Modena e Parma accettarono, ma non quello di Torino, dove prevalsero i venti di guerra. L’Italia, come la Germania, aveva una struttura tendenzialmente federale, ma i Savoia scelsero il modello fortemente accentrato, coi prefetti che dovevano far prevalere ovunque la volontà del governo centrale. A causa dell’accentramento e delle cure riservate all’esercito e alla marina maturarono in seguito progetti coloniali velleitari, che favorirono patti militari come la Triplice alleanza del 1882, contraddittori con la politica estera fin allora seguita.
L’allocuzione di Pio IX ai cardinali del 29 aprile 1848 aveva il compito di spiegare perché il papa non poteva accogliere l’ipotesi dell’unificazione italiana attraverso le guerre. Il progetto di nominare Rosmini cardinale e Segretario di Stato poteva attuarsi se non ci fosse stato l’assassinio di Pellegrino Rossi. La famosa politica del Cavour condotta su un doppio binario, trattative da una parte, colpi di mano dall’altra, non era la più adatta nei confronti della Chiesa cattolica. Perciò Pio IX scelse la via della netta contrapposizione che chiariva le posizioni reciproche. Tuttavia, le funzioni assolte dalla Chiesa non possono svolgersi in un clima di ostilità. Il papa Pio IX comprendeva questo aspetto del problema e perciò si affidò a don Giovanni Bosco che sapeva compaginare un reale patriottismo con un altrettanto grande amore per la Chiesa. Poiché molte diocesi italiane erano prive di vescovo e lo Stato italiano, nonostante il troppo ripetuto “libera Chiesa in libero Stato”, aveva voluto ereditare dagli Stati preunitari il placet e l’exequatur, si faceva vanto di impedire l’insediamento di vescovi supposti ostili ai fatti del Risorgimento. Perciò Pio IX pregava don Bosco di recarsi nelle diocesi prive di vescovo per individuare possibili candidati a quella carica. Ottenuto l’assenso del papa, don Bosco si recava dal ministro agli Interni con l’elenco dei sacerdoti prescelti. È difficile condividere il giudizio di Scalfari che con l’unità d’Italia andarono al potere “i capaci e gli onesti”: anche dopo l’unità ci furono molti incapaci e disonesti, ma l’unità d’Italia fu comunque un bene.
I ventidue anni del Risorgimento italiano, nella storia della Chiesa, sono solamente una leggera increspatura. Il papa Pio IX è ricordato per il dogma dell’Immacolata, per il Sillabo, per il Concilio Vaticano I e, dall’anno 2000, per la sua beatificazione insieme col papa Giovanni XXIII. Infatti, era personalmente un santo, anche se non lo furono molti dei suoi collaboratori. Egli arrivò a dire che se avesse avuto un Cavour al suo servizio, non si sarebbe trovato in mezzo ai pasticci. La fine del potere temporale della Chiesa poteva essere un fatto compiuto fin dall’epoca napoleonica. Fu la diplomazia francese che promosse al congresso di Vienna del 1815 la ricostituzione dello Stato della Chiesa, per non rendere completa l’egemonia austriaca in Italia, un altro residuo dell’antico regime che aveva i giorni contati nell’epoca del risveglio delle nazionalità.
Priva di reale fondamento l’accusa successiva rivolta ai cattolici di non aver favorito la crescita del Regno d’Italia. Da una parte si doveva mantenere vivo il contenzioso tra Chiesa e Stato per giungere a una composizione accettabile da entrambi, avvenuta nel 1929. Dall’altra i cattolici, pur nell’astensione dal Parlamento, si dedicarono alla difesa sociale del ceto più maltrattato, i contadini, in preda alla crisi dei prezzi agricoli. Il papato di Leone XIII rappresenta una pagina gloriosa nella storia della Chiesa, specialmente con l’enciclica Rerum Novarum che ancora dopo un secolo viene definita profetica.